Il nostro website utilizza solo cookie tecnici, ma cookie di altro tipo potrebbero esserti inviati da funzionalità e links di terze parti. Per saperne di più consulta la nostra Cookie policy; altrimenti acconsenti all'uso dei cookie clickando su OK.

"Lui mi ha sottratto i miei beni: il mio sorriso, la mia tenerezza, la mia capacità di gioire, di compatire, di aiutare, la mia animalità, la mia radiosità, lui ha calpestato ogni singolo manifestarsi di tutto questo, finché non si è più manifestato. Ma perché uno agisca così, questo non lo capisco…"(Igeborg Bachmann, 1988, "Il caso Franza. Requiem per Fanny Goldmann")

Quando un rapporto si rompe è quasi sempre uno dei due partner a decidere di lasciare l’altro, quasi mai è una decisione "condivisa". Cosa succede al partner "lasciato"? Quali sensazioni comuni, eppure uniche nell'estrema sofferenza, si trova a provare?

Il compagno ha lasciato un vuoto incolmabile; a volte si odia questa nuova persona, questo "alieno" che ha posseduto il corpo del partner, ma si ama ancora disperatamente quello "vecchio".
La responsabilità spesso è vista in elementi esterni: la colpa ricade sulla malattia mentale — «Secondo me è colpa dell’esaurimento che sta attraversando», «È di famiglia! Anche suo padre aveva fatto così alla sua età, e poi anche suo fratello, sembra che verso i 40 anni impazziscano!!!» —, sulla malattia fisica — «Da quando ha subito quell'intervento non è più lei», «Ha avuto quel problema…, ora prende un sacco di farmaci, secondo me sono quelli che gli abbassano l’umore, c’è anche scritto sui bugiardini!» —, sull'abuso di sostanze — «Una mia amica mi ha detto di averlo visto bere alle 9 di mattina!», «Ha un’aria strana, secondo me si droga!» —, sull'influenza negativa di altre persone — «È tutta colpa del suo amante, lei non è così, ma lui le ha fatto un bel lavaggio del cervello…», «Sono quei suoi amici, l’hanno convinto a prendere quella strada, lui è un debole e si è lasciato ingannare« — e in certe situazioni si vedono solo colpe interne alla propria persona — «è tutto colpa mia, solo colpa mia, lei era perfetta» —.

L’altro è seduto di fianco a noi durante i colloqui, è un’ombra muta che però attira tutta l’attenzione. La richiesta di questi clienti spesso è «Cosa posso/devo fare perché tutto ritorni com'era prima?».

Come terapeuta a indirizzo sistemico-relazionale molto spesso mi sono trovata a lavorare con le coppie, ma la cosa che mi ha colpito di più in questi anni di lavoro è la profonda sensazione di perdita, che senza eccedere si può paragonare ad un lutto, portata da queste persone in una fase di legame ormai interrotto.
Niente può riassumere meglio le emozioni, le sensazioni e i pensieri di queste persone, di alcune loro frasi ricorrenti ed emblematiche: «È un momento straziante, chi è diventato il mio partner? Chi l’ha posseduto? Dopo tutto questo tempo come fa a trattarmi così? Com'è possibile? Fisicamente è sempre lui ma è cambiato! Qualcosa l’ha modificato! Io rivoglio indietro lui/lei, così com'era, quando eravamo una coppia felice. Cos’è successo? E ora cosa faccio? I miei amici sono i suoi amici, spesso sono coppie, la solitudine mi attanaglia e non so cosa fare. E chi sono io senza lui/lei? Cosa posso fare? Come diventare una nuova persona capace di muoversi nel mondo anche senza il partner? In questi ultimi anni mi sono creato/a una vita di cui ora non rimane più nulla…»

L’immagine rimandata è di vuoto, di sofferenza, ma soprattutto di impotenza totale. L’altro tanto amato è cambiato nel giro di pochi mesi, si cercano spiegazioni ma non si riesce ad averle. Una donna in seduta ha spesso definito il partner come “il dottor Jekill e mister Hyde”, paragone che trasmette bene la sensazione di incomprensione dell’altro che si credeva invece di conoscere come le proprie tasche. Cigoli, Galimberti e Mombelli (1988) qualificano questo tipo di legame come disperante nel senso che la sua nota qualificante è l'impossibilità di smettere di sperare. È proprio quel rapporto che conta, domina ed è unico pensiero; una persona mi ha detto: «in questi 2 anni, da quando mi ha lasciato, non sono passati 10 minuti senza che io pensassi a lei». Le sedute diventano impregnate dal compagno cambiato.

In realtà, anche se a noi sembra di conoscere il nostro partner anche meglio di noi stessi, sono sempre presenti aspetti personali che entrano nella relazione di coppia, che non possono essere messi in relazione con l’altro, ciò che io definisco l’"alieno".

Sin dall'inizio del rapporto noi ci creiamo un’immagine del partner che sì, può assomigliare a chi è veramente lui/lei, ma non sarà mai aderente al 100% alla realtà, "la mappa non è il territorio" (A. Korzybski). Finché la relazione prosegue possiamo continuare a credere di conoscere perfettamente il partner, ma la rottura proprio in questi casi risulta incomprensibile.

Uno dei lavori importanti da fare è proprio quello d’iniziare a modificare l’immagine che ci siamo creati del partner, per potercene finalmente staccare. Bisogna davvero attraversare le fasi di un vero e proprio lutto, piangendo la relazione che è stata, lasciando andare l’ex e iniziando a ricostruire un nuovo me, una nuova persona capace di stare al mondo e di vivere, ma soprattutto vivere bene, anche senza il partner.

Bibliografia

  • Bateson, G., 1972, Verso un’ecologia della mente, Adelphi Edizioni, Milano.
  • Cigoli, V., Galimberti, C., Mombelli, M., 1988, Il legame disperante, Raffaello Cortina Editore, Milano.
  • Solfaroli Cammillocci, D., 2010, Up & Down. Solitudine e potere nella coppia, FrancoAngeli Milano.