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"È meglio sopportare l'istante di imbarazzo creato da una domanda,
che la vergogna di una vita per non averla posta".
(proverbio giapponese)

Nel 2010 una commissione di esperti in medicina, psicologia e scienze sociali incaricata dall'Ufficio Regionale per l'Europa dell’OMS ha elaborato il documento riguardante gli Standard per l’educazione sessuale in Europa, nel quale ha riassunto, in modo dettagliato ma contemporaneamente chiaro e di facile lettura, ciò di cui i nostri bambini avrebbero bisogno sotto il profilo dell’educazione affettiva e sessuale nelle varie fasi della crescita.

In Italia questo documento è stato accolto con scetticismo quando non addirittura frainteso, al punto che un quotidiano nazionale di ampia diffusione ne ha commentato la pubblicazione con un articolo intitolato "I corsi di masturbazione per bimbi di 4 anni". Tale atteggiamento si è purtroppo protratto nel tempo, facendo sì che nel nostro paese quelli che in altre nazioni europee sono effettivamente diventati gli "standard per l’educazione sessuale" non solo non abbiano trovato applicazione, ma risultino per lo più sconosciuti alla maggior parte degli operatori che lavorano nel campo dell’educazione.

Il documento prospetta un’educazione sessuale condotta secondo un approccio olistico, la quale, come commenta Vincenzo Calia direttore della rivista Uppa, probabilmente ha come unico difetto quella di proporre «una visione troppo utopistica», soprattutto là dove nell'elaborarla non si sono evidentemente tenute abbastanza in considerazione le resistenze di alcuni contesti socioculturali che considerano qualsiasi discorso intorno agli affetti, al corpo, al piacere e alla sessualità un tabù insormontabile e come in tali contesti i principi che essa promuove possano venire profondamente distorti, esattamente come è accaduto in l’Italia.

L’approccio olistico all'educazione sessuale è inteso sia rispetto alla dimensione temporale, nel senso che è importante iniziare a trattare i temi dell’affettività e della sessualità in modo adeguato all'età dei bambini fin dalle prime fasi del loro sviluppo, sia rispetto ai contesti relazionali e sociali di cui il bambino è parte, dalla famiglia alla scuola, favorendo la collaborazione di genitori ed insegnanti nel creare per ogni bambino un dialogo attivo su questi temi.

Ma cosa vuol dire in concreto fare educazione sessuale a un bimbo di 2, 3, 4 o 5 anni?

L’educazione sessuale è innanzitutto conoscenza, cura e amore per il proprio corpo, dalle quali consegue una migliore stima di sé; è rispetto per le differenze: sia per le proprie che per quelle degli altri. All'inizio si esprime soprattutto come un accompagnamento a riconoscere consapevolmente le sensazioni che si provano attraverso i cinque sensi: vedendo, sentendo, toccando, annusando, gustando, in modo da sviluppare nei bambini la capacità di parlare delle proprie esperienze, individuando, riconoscendo ed elaborando le emozioni che stimolano.

Quindi lavorare sull'educazione all'affettività e alla sessualità in una scuola dell’infanzia non significa, come alcune persone hanno immaginato, spiegare in termini medici cos'è un rapporto sessuale, ma aiutare ciascun bambino a familiarizzarsi con le proprie sensazioni psicofisiche, a distinguere ciò che gli piace e ciò che non gli piace, aiutarlo a sentire con maggiore consapevolezza le emozioni sue e degli altri, aiutarlo ad esprimere i suoi bisogni.

Dal lato degli adulti significa, invece, aiutare genitori ed insegnanti non solo a creare le condizioni più favorevoli affinché il bambino possa sperimentare tutto questo, ma anche ad accompagnarlo con sensibilità e responsabilità lungo questo percorso, rispondendo alle sue domande senza eccessivo imbarazzo e, soprattutto, senza ricorrere a menzogne.

Per poter educare agli affetti ed alla sessualità in questo modo la cosa più importante, come sottolinea anche il documento dell’OMS, è di tenere sempre ben presente che quando parliamo a un bambino dobbiamo metterci dal suo punto di vista, ascoltare ciò che lui ci chiede, senza mai anticipare i suoi bisogni con informazioni che non lo interessano ancora e alle quali non sarebbe ancora in grado di dare un significato appropriato. Per fare un esempio, ad un bimbo di 4 anni che chiede da dove arrivano i bambini, l’adulto può semplicemente rispondere che arrivano dalla pancia della mamma e questo è sufficiente; se il bambino è soddisfatto, la sua successiva domanda verterà probabilmente su Peppa Pig o su un gioco da fare insieme… Solamente quando, un paio d’anni più tardi, lo stesso bambino arriverà con la domanda: «bene, ma come ci arriva il bambino nella pancia della mamma?», all'adulto sarà richiesto di procedere con la spiegazione, sempre in termini adeguati allo sviluppo del bambino.

Intesa in questi termini, l’educazione all'affettività e alla sessualità può (e deve) quindi iniziare alla nascita, proprio per evitare i due rischi estremi, ma egualmente deleteri, di esporre il bambino a spiegazioni troppo approfondite, che il suo sistema cognitivo-emotivo ancora in formazione non è in grado di comprendere, oppure di reagire alle sue domande con esitazioni e/o silenzi imbarazzati che lo inducono a credere di aver fatto una "domanda sbagliata", di aver toccato un campo in cui c’è qualcosa di "brutto", vergognoso o spaventoso e di cui è quindi meglio non parlare.

Chi è cresciuto in ambienti in cui parlare del corpo e della sessualità era un tabù, esperienza che nel nostro contesto culturale appartiene a molti adulti, scopre come questo modo di rapportarsi alla sessualità abbia lasciato il segno nell’intenso disagio che prova quando, pur volendo comportarsi con i propri figli in modo diverso, rendendosi disponibile ad accogliere le loro domande, si sente frenato dall'imbarazzo, non sa bene cosa dire e vorrebbe al più presto cambiare discorso.

È invece importante per un bambino che, quando si confronta con i suoi dubbi su un tema così importante per la vita com'è la sessualità, trovi nell'adulto di riferimento le risposte di cui ha bisogno. Un genitore o un insegnante consapevole che il silenzio comunica molto di più della parola, che un silenzio imbarazzato comunica che "qualcosa non va"; un genitore e/o un insegnante che si sforza, di conseguenza, di sopportare il suo imbarazzo per ascoltare la domanda del bimbo, accogliere il suo bisogno e rispondere con semplicità, sapendo che, esattamente come accade per qualsiasi altro argomento, anche quello sulla sessualità è un dialogo continuo che si svilupperà nel tempo.